mercoledì 12 gennaio 2011

La leggenda del Comiskey Park : Può uno stadio diventare un "mito"? Nel caso del campo di Shoeless Joe Jackson, senz'altro...



Tra le pagine ingiallite di una storia del baseball ancora tutta da scrivere per i suoi risvolti etici e la grande umanità mista ad una incontenibile emotività, particolare interesse hanno suscitato nel 1990 prima la notizia, opportunamente e sapientemente diffusa solo al termine dell’ultima giornata di campionato, e poi l’evento della chiusura, per essere in seguito abbattuto, del più antico stadio del “Batti e corri”, il poetico Comiskey Park di fatto la più celebre ed acclamata istituzione di Chicago dopo il famigerato Al Capone.
Costruito con grandi risorse finanziarie nel 1910, ovvero ben due anni prima del Fenway Park di Boston e del Tiger Stadium di Detroit e in attività già da lunghi tredici anni prima che a New York decidessero di innalzare quel mitico e geniale Yankee Stadium, divenuto poi quest’ultimo il più originale monumento del baseball grazie alle prodezze degli acclamati Lou Gehrig, Babe Ruth, Mickey Mantle, Casey Stengel e dell’italo-americano Joe Di Maggio, il campo di baseball della capitale dell’Illinois il 30 settembre del 1990, dopo ottanta anni di vita, valutato non più rispondente alle nuove avveniristiche norme di sicurezza e giudicato non più assimilabile alle raffinate esigenze dello spettacolo del gioco, chiudeva i battenti cessando di esistere.
Pur davanti alle fredde cifre del business, questa data ha rappresentato per gli appassionati lo svolgersi di un vero dramma perché il Comiskey Park per la sua particolare forma architettonica a più anelli, la qualità del suo manto erboso, la lucentezza emanata dalla perfetta illuminazione per le gare in notturna, impiantata nel lontano 1939 ed inaugurata il 14 agosto di quello stesso anno con la gara White Sox - St. Louis Browns 5-2, non era solo il campo di baseball di Chicago ma soprattutto era amato come il salotto buono di casa dove invitare ed intrattenere gli amici e considerato, essendo il baseball negli Stati Uniti non solo tessuto connettivo che tiene unita l’intera nazione ma anche una religione, il tempio per antonomasia del “gioco antico”.
Amore per il baseball, spettacolari giocate tramandate alla memoria, incredulità verso certi episodi di cronaca nera, leggende e passioni metropolitane farcite da non poche lotte senza quartiere in una Chicago in mano alla violenza hanno dato infine a questo stadio il carisma aggregante di riferimento ed una indiscutibile personalità. Tuttavia, nonostante l’appassionato tributo, il verde diamante del Comiskey, dopo i primi travolgenti anni, non è che abbia mai portato una solida fortuna alla locale franchigia dei White Sox, anzi. Vincitori nel lontano 1917 del loro ultimo titolo di campioni acquisito nelle World Series contro i Giants di New York avendo potuto contare sulla tenace e possente tenuta del grande lanciatore Red Faber capace di lanciare per tre gare consecutive sulle quattro vinte, i White nel 1919 debordarono con molta superficialità dalla cronaca sportiva a quella nera per via del più famoso scandalo in cui il baseball sia mai stato coinvolto: l’intera squadra messa sotto accusa dalla giustizia sportiva per corruzione con ben otto giocatori successivamente radiati a vita.
La torbida vicenda che scaturì sul verde prato del Comiskey si propagò violentemente in tutti gli Stati Uniti creando intorno ai White, subito denominati Black nello scandalo, diverse leggende poiché in effetti, e nonostante la condanna, la verità di una globale corruzione non fu mai del tutto accertata. Anzi questo motivò da più parti tesi opposte tra colpevolisti ed innocentisti. Così a più riprese i vari Buck Weaver, Oscar Felsch, Chick Gandil, Eddie Cicotte, Ray Schak, Eddie Collins, Dickie Kerr, Swede Risberg, Fred McMullin, Lefty Williams e soprattutto Shoeless Joe Jackson furono favoleggiati nella fertile fantasia degli appassionati e divennero leggendari protagonisti e testimoni in molti lavori di penna e di spettacolo tra cui quelli di Richard Pioreck: “Say il Ain’t so, Joe!” (1983), di Lawrence Kelly: “Out!” (1986), di “Shoeless Joe” della serie televisiva “Witness” (1960), di Harry Stein: “Hoopla”(1983) per finire al 1988 quando dal saggio-inchiesta di Eliot Asinof la Orion Pictures Corp. perfezionò sotto la regia di John Sayles l’incisivo film “Otto uomini fuori”, uno dei migliori film sul baseball.
L’episodio tuttavia segnò definitivamente sia il roster della franchigia che i fans ed ammantò di mistero il Comiskey Park tanto che il fantasma di Shoeless Joe Jackson, oltre a costernare il protagonista del film “Field of dream” (L’uomo dei sogni) interpretato da Kevin Costner, ha sempre turbato anche le memorie dei tifosi della squadra ancora oggi convinti della sua innocenza. Comunque la sera del 30 settembre del 1990, dopo l’ultimo lancio che ha posto termine alla stagione interna dei White Sox e chiuso i battenti del più antico stadio americano, mentre già l’illuminazione del diamante stava incominciando ad affievolirsi, molte sono state le lacrime versate ed i fuochi d’artificio mandati in cielo in ricordo anche di quei tanti facoltosi tifosi che avevano chiesto ed ottenuto che le loro ceneri fossero sparse sul magico terreno calcato dai loro beniamini.
“Era brutto, ci pioveva dentro, i pilastri bloccavano la visuale – ha affermato con amarezza l’anziano tifoso Danny Winger -, ma solo al Comiskey Park ho trascorso i momenti più belli della mia vita. Sapere ora che non ci sarà più è come aver perso un fraterno amico” e tra i singhiozzi l’aristocratico Joe Bosch, che aveva personalizzato la propria auto con la targa “A Sox Man”, ha puntualizzato: “Questo è il giorno più triste della storia di Chicago”. La chiusura e futura demolizione dello stadio infine è stato per la vedova di Billie Burke un drammatico quanto particolare momento: “Per mio marito, che nel 1987 ha voluto come suo ultimo desiderio che le sue ceneri fossero sparse sul prato verso la terza base, il Comiskey Park è sempre stato l’equivalente del Paradiso. Ora, dove andrò a pregare?”. Ed il baseball è anche questo. 
Michele Dodde

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