mercoledì 20 luglio 2011
mercoledì 15 giugno 2011
"Take Me Out to the Ball Game"
"Take Me Out to the Ball Game" è una canzone dei primi anni del XX secolo di Tin Pan Alley divenuta l'inno non ufficiale del baseball. Il testo fu scritto nel 1908 da Jack Norworth e messo in musica da Albert Von Tilzer, nonostante nessuno dei suoi autori avesse mai assistito al gioco prima di scrivere la canzone. Norworth e Von Tilzer videro per la prima volta una partita di Major League rispettivamente 32 e 20 anni dopo.
La canzone è tradizionalmente cantata durante 7° inning, tra parte alta e parte bassa, subito prima quindi della fase di attacco della squadra di casa e il pubblico è incoraggiato a cantarla. Per la ragione di cui sopra,viene chiamato anche "7th inning stretch". Sebbene oggigiorno se ne ricordi soprattutto il ritornello, viene comunemente considerata la terza canzone più eseguita negli Stati Uniti d'America, dopo l'inno The Star-Spangled Banner e Happy Birthday to You.
Testo:
Katie Casey was baseball mad,
Had the fever and had it bad,
Just to root for her hometown crew,
ev'ry sou-- Katie blew.
On a Saturday, her young beau
called to see if she'd like to go
To see a show but Miss Kate said, "No,
I'll tell you what you can do"
Take me out to the ballgame,
Take me out to the crowd.
Buy me some peanuts and Cracker Jacks.
I don't care if I never get back,
Let me root, root for the home team,
If they don't win it's a shame.
For it's one, two, three strikes your out.
At the old ball game.
martedì 3 maggio 2011
martedì 12 aprile 2011
Il Baseball su Radio Studio Delta
Ieri Radio Studio Delta ha dedicato un ora al nostro sport.
Dalle 19 alle 20 si è parlato di baseball con Stefano Servidei che ha cercato di spiegare il virus che è il gioco del baseball.
Mi piacerebbe dire quanto sia stato lo share ma sono contenta di dirvi che Radio Studio Delta è la radio più ascoltata della Romagna.
Tra domande curiose e testimonianze di genitori che tornavano da una partita di prebaseball è stata spesa una fantastica ora sul baseball.
Un'altra bella iniziativa messa a segno dal settore giovanile del Godo Baseball.
Dalle 19 alle 20 si è parlato di baseball con Stefano Servidei che ha cercato di spiegare il virus che è il gioco del baseball.
Mi piacerebbe dire quanto sia stato lo share ma sono contenta di dirvi che Radio Studio Delta è la radio più ascoltata della Romagna.
Tra domande curiose e testimonianze di genitori che tornavano da una partita di prebaseball è stata spesa una fantastica ora sul baseball.
Un'altra bella iniziativa messa a segno dal settore giovanile del Godo Baseball.
sabato 19 marzo 2011
Il primo grande slam di Alex Liddi
magari tutti diamo per scontato saper cos'è un grande slam nel baseball (gergo tipico del bridge - punto massimo realizzabile... entrato nel gergo tennistico che indica vincere i 4 principali tornei sulle 4 superfici tipiche del tennis) io non lo sapevo cosa era un grande slam nel baseball...
e quando Liddi ne ha fatto non uno, ma ben si due tutti i siti che parlano di baseball si sono scatenati ....
Un grande slam nel baseball è un home-run fatto con le basi piene e vale quindi 4 punti.
Ho trovato su youtube le immagini amatoriali dei due grandi slam
grande slam
grande slam, la rivincita
e quando Liddi ne ha fatto non uno, ma ben si due tutti i siti che parlano di baseball si sono scatenati ....
Un grande slam nel baseball è un home-run fatto con le basi piene e vale quindi 4 punti.
Ho trovato su youtube le immagini amatoriali dei due grandi slam
grande slam
grande slam, la rivincita
venerdì 18 marzo 2011
Un italiano a Tacoma
Alex Liddi ci racconta il suo grande 'Spring Training'
"Sto vivendo un'esperienza unica". Si apre così una lunga chiacchierata telefonica con il talento di Sanremo. La sua stagione inizierà da Tacoma, in Triplo A. "E' una grande sensazione, sentire che la mia carriera può aiutare il baseball italiano"di Riccardo Schiroli
Al telefono da Peoria (la località dell'Arizona dove si svolge lo Spring Training dei Mariners di Seattle), è il solito Alex Liddi, quando mi spiega che con lui i grandi dei Mariners sono "socievoli" (per come l'ho visto io, proprio non avrei definito Ichiro Suzuki "socievole", ma poco importa). Me lo posso anche immaginare mentre sorride. Scherzosamente, il manager della nazionale Marco Mazzieri gli ha ricordato "Se sei sempre lo stesso giocatore". Il coach Mike Piazza gli si è rivolto da fratello maggiore: "Continua a fare le cose che sai fare". Però a tutti noi appare chiaro che qualcosa di grosso è successo: il ragazzo che abbiamo visto indossare la maglia azzurra a tutti i livelli, è pronto al gran salto."Sto vivendo un'esperienza unica" dice Alex, spiazzandomi. Succede spesso, quando cerco di intervistarlo: mi dice una parola, al massimo una frase, che potrebbe rendere superflue tutte le altre domande che vorrei fargli. Ma ovviamente insisto.
Dopo 5 anni di Camp di Minor League, sei per la prima volta a quello della prima squadra. E' davvero così diverso? "Beh, è tutta un'altra cosa. A cominciare dalle sciocchezze, come il cibo che ti danno o come viene organizzato lo spogliatoio. E poi abbiamo i tifosi anche a seguire gli allenamenti".
Già, il tifosi. Ho letto che cominciano a conoscerti. Si diceva che, nel turno del secondo grande slam, ti gridassero di rifarlo...: "E' vero" ride "E' stata una sensazione stranissima. Nella partita di venerdì con gli Indians, hanno addirittura esposto uno striscione per chiedere che mi mettessero a battere".
Alex Liddi è pienamente consapevole di quello che rappresenta per il baseball italiano. Ma non parla di responsabilità: "No, perché è un termine che mi fa pensare ad un peso. Invece, quello che sento io è qualcosa di bello. E' una grande sensazione, sentire di poter dare qualcosa al baseball italiano con quello che sto facendo, sentire che la mia carriera può contare molto".
Ti seguono tutti in tempo reale, lo sai vero? "Lo so, ricevo tantissimi messaggi su Facebook per i quali ringrazio tutti. Non è detto che riesca a rispondere, ma mi fa tanto piacere. E leggo tutto".
Diciamo la verità, Alex. Questo successo ha anche un certo potenziale economico: "Beh, certo. Non è il motivo per cui gioco, ma dà una certa soddisfazione".
Finire sul roster dei 25 di Grande Lega, da questo punto di vista, sarebbe un ulteriore salto di qualità: "Ma non credo, che sarò sul roster dei 25. Mi sembra molto difficile...".
Alex Liddi è in effetti destinato a Tacoma, Triplo A. La comunicazione ufficiale dei Mariners è arrivata il 12 marzo, il giorno dopo la chiacchierata telefonica con Alex.
Al quale, durante l'intervista, avevo chiesto di valutare se non gli convenisse più iniziare dal Triplo A.
Questa era stata la risposta: "Io, se lasciassero la scelta a me, andrei di corsa con la prima squadra. Anche a costo di stare in panchina tutti i giorni. Però cerco davvero di non pensarci e di continuare a fare quello che so fare".
Certo, lo staff tecnico ti vedrà con occhi diversi, ora: "Il manager è nuovo, quindi non conosce me come non conosci gli altri giocatori. Ma sicuramente, quello che ho fatto fino qui aiutare a rendergli più famigliare la mia faccia...mi sono spiegato?".
Si è spiegato benissimo, Alex Liddi. E io, anche se la domanda è assolutamente retorica, ho un solo modo per concludere la chiacchierata. Tu continui a divertirti, vero: "Certo, come sempre!".
domenica 20 febbraio 2011
Gioco a Baseball ... leggo un libro
"Il mio nome è Jackie Roninson" di Scot Simon
Jackie Robinson è un'icona dello sport e un simbolo della lotta per i diritti civili. Primo afroamericano a giocare nelle Major Leagues con la maglia dei Brooklyn Dodgers nel 1947, Robinson deve affrontare l'ostilità dei compagni, restii ad accettare la presenza di un giocatore di colore, ed è spesso oggetto di insulti da parte dei tifosi dei Dodgers e della tifoseria avversaria. Forte dell'appoggio di Branch Rickey, il presidente della squadra che ha fortemente voluto il suo passaggio dalle Negro Leagues, e di alcuni compagni, il giocatore resiste e spiana la strada all'ingresso di altri afroamericani nella massima serie di baseball. Il coraggio di Robinson costringe l'America di quegli anni a fare i conti con la questione razziale e ancora oggi, in onore di questo grande campione, nessun giocatore indossa la maglia numero 42, il numero di Jackie Robinson. Come ogni anno, il 15 aprile l'America celebra il Jackie Robinson Day, il 15 aprile 1947 è infatti il giorno dell'esordio di Robinson nelle Major Leagues. La forza e il coraggio di Jackie Robinson sono stati di recente raccontati dal presidente Barack Obama nel suo libro "Of Thee I Sing: A Letter to My Daughters" in cui Robinson figura tra i tredici grandi personaggi americani che con il loro esempio hanno cambiato
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sabato 5 febbraio 2011
A.S. Roma e il Baseball
La A.S. Roma sta cambiando l'assetto della proprietà, e negli articoli sulla vicenda, viene sempre più prepotentemente richiamata la parola baseball.... vecchia storia quella della Roma e del Baseball... già unite ai tempi di Bruno Conti, che la leggenda metropolitana vuole allenarsi sia a calcio che a Baseball sui campi del Nettuno e si racconta anche che sia stato contattato da un emissario dei Santa Monica....
Da Il Giornale.it sabato 05 febbraio 2011,
Da Il Giornale.it sabato 05 febbraio 2011,
Ecco Mr. Red Sox l’uomo che sogna in giallorosso
di Filippo Fantasia
C'è un'azione tipica nel baseball, denominata "hit and run" (batti e corri), in cui il battitore incontra con violenza la pallina e cerca contemporaneamente di far correre il compagno sulle basi. Una giocata speciale, un "semaforo verde" dettato dal manager che potrebbe decidere le sorti del match. Un po' come successo a Thomas DiBenedetto e alla cordata di investitori statunitensi da lui stesso capitanata che ha ottenuto il via libera a trattare in esclusiva l'acquisto della Roma. Tempi brevi per chiudere il "deal", come fosse un fuoricampo che ti permette di girare velocemente i quattro angoli del diamante.
La scelta non poteva che cadere sul quotato businessman nato 61 anni fa a Boston, ma sangue abruzzese nelle vene, con la passione dello sport. Calcio, ma soprattutto baseball. Lo chiamano Mister Red Sox. Perché lui delle mitiche calze rosse, che quest'anno festeggeranno il centenario, è uno dei tredici partner: nel 2001 la New England Sport Ventures, la società di cui è socio insieme a John Henry (attuale proprietario dei Boston) e Tom Werner, e che lo scorso ottobre ha acquisito per 476 milioni di dollari anche il Liverpool, assunse infatti il controllo dello storico club di baseball. Ma di quella squadra DiBenedetto è anche uno dei più accaniti sostenitori, di quelli che si riuniscono sotto il nome di «Red Sox Nation». Dopo aver giocato a football alla fine degli anni '60 al Trinity College di Hartford nel Connecticut, il baseball è entrato prepotentemente nella sua vita. È stato lui stesso a raccontare che all'età di 10 anni pianse al Fenway Park, la «casa dei Red Sox», quando vide battere un fuoricampo a Ted Williams, indimenticato campione, nell'ultimo turno di battuta della sua carriera. E quando Tom e Linda si sposarono nel settembre dell'83 decisero di fare una luna di miele lì intorno nel New England, per poter essere di ritorno il sabato e la domenica conclusivi della stagione agonistica.
Un tifoso doc. Cresciuto ad Everett, vicino Boston, prendeva la metro per raggiungere il Fenway Park, quello che lui considera una cattedrale: completamente dipinto di verde, è datato 1912, ed è il più vecchio stadio di baseball d'America. «I Red Sox sono una passione che dura tutta la vita», spiega il businessman che oggi fa la spola tra il Massachusetts e la Florida, dove è nato Thomas DiBenedetto jr, uno dei suoi cinque figli che è stato scelto dall'organizzazione dei Red Sox nel 2008 ed assegnato alle leghe minori per poter farsi le ossa nel grande baseball. Con Boston però c’è un feeling del tutto particolare, vista la presenza di una folta comunità italiana, stipata principalmente nel quartiere del North End. Uno dei paisà più noti è Larry Lucchino, presidente e amministratore delegato dei Red Sox. Un altro è Terry Francona, l'allenatore della squadra, l'uomo che ha riportato il titolo nazionale in Massachusetts dopo ben 86 anni di assenza. E c’è un altro Thomas (Menino), sempre di origine italiane, che a Boston siede in un posto importante, essendo il sindaco della città.
Adesso, per chiudere con la Roma (club, marchio e facilities) si attende solo la firma. Il progetto prevede importanti obiettivi di fatturato che passano necessariamente attraverso un piano di rilancio in grande stile basato sul merchandising, sul brand e su un nuovo stadio. Cose che riescono bene a DiBenedetto e soci. Basti pensare proprio ai Red Sox. Durante la stagione regolare 2010, sono stati tra i 10 club con la più alta affluenza di pubblico (oltre 3 milioni di spettatori). E anche se non sono entrati nei play-off, i Boston hanno allungato la striscia del Fenway tutto esaurito a 631 partite, partendo dal 15 maggio 2003.
La scelta non poteva che cadere sul quotato businessman nato 61 anni fa a Boston, ma sangue abruzzese nelle vene, con la passione dello sport. Calcio, ma soprattutto baseball. Lo chiamano Mister Red Sox. Perché lui delle mitiche calze rosse, che quest'anno festeggeranno il centenario, è uno dei tredici partner: nel 2001 la New England Sport Ventures, la società di cui è socio insieme a John Henry (attuale proprietario dei Boston) e Tom Werner, e che lo scorso ottobre ha acquisito per 476 milioni di dollari anche il Liverpool, assunse infatti il controllo dello storico club di baseball. Ma di quella squadra DiBenedetto è anche uno dei più accaniti sostenitori, di quelli che si riuniscono sotto il nome di «Red Sox Nation». Dopo aver giocato a football alla fine degli anni '60 al Trinity College di Hartford nel Connecticut, il baseball è entrato prepotentemente nella sua vita. È stato lui stesso a raccontare che all'età di 10 anni pianse al Fenway Park, la «casa dei Red Sox», quando vide battere un fuoricampo a Ted Williams, indimenticato campione, nell'ultimo turno di battuta della sua carriera. E quando Tom e Linda si sposarono nel settembre dell'83 decisero di fare una luna di miele lì intorno nel New England, per poter essere di ritorno il sabato e la domenica conclusivi della stagione agonistica.
Un tifoso doc. Cresciuto ad Everett, vicino Boston, prendeva la metro per raggiungere il Fenway Park, quello che lui considera una cattedrale: completamente dipinto di verde, è datato 1912, ed è il più vecchio stadio di baseball d'America. «I Red Sox sono una passione che dura tutta la vita», spiega il businessman che oggi fa la spola tra il Massachusetts e la Florida, dove è nato Thomas DiBenedetto jr, uno dei suoi cinque figli che è stato scelto dall'organizzazione dei Red Sox nel 2008 ed assegnato alle leghe minori per poter farsi le ossa nel grande baseball. Con Boston però c’è un feeling del tutto particolare, vista la presenza di una folta comunità italiana, stipata principalmente nel quartiere del North End. Uno dei paisà più noti è Larry Lucchino, presidente e amministratore delegato dei Red Sox. Un altro è Terry Francona, l'allenatore della squadra, l'uomo che ha riportato il titolo nazionale in Massachusetts dopo ben 86 anni di assenza. E c’è un altro Thomas (Menino), sempre di origine italiane, che a Boston siede in un posto importante, essendo il sindaco della città.
Adesso, per chiudere con la Roma (club, marchio e facilities) si attende solo la firma. Il progetto prevede importanti obiettivi di fatturato che passano necessariamente attraverso un piano di rilancio in grande stile basato sul merchandising, sul brand e su un nuovo stadio. Cose che riescono bene a DiBenedetto e soci. Basti pensare proprio ai Red Sox. Durante la stagione regolare 2010, sono stati tra i 10 club con la più alta affluenza di pubblico (oltre 3 milioni di spettatori). E anche se non sono entrati nei play-off, i Boston hanno allungato la striscia del Fenway tutto esaurito a 631 partite, partendo dal 15 maggio 2003.
mercoledì 2 febbraio 2011
2 chiacchere con ...
Matteo Galeotti (nato a Ravenna il 18/12/1981) lanciatore destro della prima squadra,
Ciao Matteo, parlaci di come ti sei avvicinato al Baseball
Ho iniziato come tutti i ragazzini giocando a calcio, poi trascinato da due vicini di casa ho iniziato a giocare a baseball all’età di 8 anni, sono perciò un prodotto del vivaio del Godo.
Anno 1999, è per te un anno importante…. Raccontaci
Si, è l’anno che con la categoria Juniores sono diventato campione d’Italia, contro tutti i pronostici, infatti il Godo non era certo una delle squadre favorite, ma lo era una squadra Parmense.
Di quella ultima splendida giornata di campionato, sono ancora vivi i ricordi … soprattutto quelli di contorno, i pulmino dei tifosi che ha seguito la squadra in trasferta, la festa già preparata dal Collecchio. E poi l’adrenalina che c’era in campo la voglia di vincere, tanto da permettere ai nostri atleti di stracciare la squadra favorita e di vincere trionfalmente lo scudetto.
E nella tua carriera c’è un'altra tappa fondamentale, ma non solo per te, ma anche per tutti i tifosi del Godo, il passaggio in IBL1
La stagione che ha portato alla promozione dalla seria A2 all’IBL è tutta da ricordare, una magica stagione dove tutto era girato per il verso giusto, la campagna acquisti degli oriundi era stata indovinata, il miglior giocatore per il giusto ruolo, e tra i giocatori si era creato affiatamento e aggregazione, le carte vincenti per portare il piccolo grande Godo dalla serie A2 all’IBL
Forse il baseball, come pochi altri sport, se non ad alti livelli, mette in relazione persone con diverse culture e lingue, a te cosa ti ha insegnato questa multiculturalità
Effettivamente la frequentazione con giocatori stranieri, soprattutto americani, mi ha dato la possibilità di imparare molto bene la lingua inglese, e questo nella vita è un vero valore aggiunto, ma ho avuto anche modo di conoscere altri stili di vita, e la cosa che più mi fa pensare è come per gli americani lo sport sia una cosa importante e fondamentale nella crescita personale di un individuo e come gli stessi lo mettano, davanti alle mille distrazioni tipiche degli adolescenti, al contrario di come invece lo pensiamo e lo viviamo noi.
C’è un rimpianto?
Si, col senno di poi ….. si Grazie a Christian Mura ho avuto la possibilità di stare in America per 3 settimane insieme a Tanesini, e di partecipare ai tryout, e ma non solo … eravamo stati anche convocati nella rosa dei 21 … ma purtroppo non ha colto l’occasione di poter giocare in una squadra Americana …l’incoscienza della adolescenza .
lunedì 31 gennaio 2011
CIAK SI LANCIA ......BUONA LA PRIMA
1° GIORNATA DELLA WINTER LEAGUE
I nostri ragazzi, sono tornati vincitori dalla trasferta di Rovigo
Castelfranco Veneto - Godo 3 - 5
Godo - Ponzano Veneto 9 - 4
Godo - Castelfranco Veneto 5 - 3
Ponzano Veneto - Godo 4 - 6
Al Torneo Winter League di Rovigo i Goti partono col piede giusto, ottenendo 4 vittorie su 4 gare.
Una ottima prestazione dei nostri atleti, anche considerando che la nostra formazione presentava sul campo ragazzi al battesimo del gioco del baseball.
Alcuni nostri lanciatori hanno risentito della sosta invernale e sono stati traditi dall'emozione, superata brillantemente negli inning successivi, un ottima prova sotto l'aspetto tecnico di tutti i nostri atleti.
Siamo quindi i primi del nostro girone, e affronteranno in finale il 27 febbraio la seconda del Gir Ba tutti loro i nostri complimenti !!!!
sabato 29 gennaio 2011
Una storia di baseball
MLB: Lanciatore rinuncia a 12 milioni di dollari : " Non era giusto"
Venerdì 28 Gennaio 2011 08:03 - Author: Repubblica/ Blogosfere
Nel ricco mondo dello sport professionistico americano, dove è normale firmare contratti milionari, si è verificato un caso in piena controtendenza: uno dei lanciatori della squadra dei Kansas City Royal, Gil Meche, ha rinunciato a un contratto da 12 milioni di dollari. Meche, 32 anni, ha comunicato alla società la sua decisione di lasciare l'attività agonistica nonostante fosse consapevole che, così facendo, perdeva ogni diritto sul contratto milionario a suo tempo firmato. Non voglio provare ancora per un'altra stagione ed essere il ragazzo che guadagna 12 milioni di dollari non facendo assolutamente niente per aiutare la propria squadra". In sostanza: scusate, non gioco e non mi merito questi soldi. Grazie e arrivederci. Ora, io sinceramente non ricordo altre storie simili e sarei ben felice se qualcuno me ne facesse conoscere una simile. Con queste parole Gil Meche, pitcher che nelle ultime quattro stagioni ha vestito la casacca dei Kansas City Royals, ha annunciato il suo ritiro dalle scene, dopo essere stato a lungo ai box. Se fosse solo questo, non ci sarebbe quasi niente da dire. Ma con il suo addio al monte di lancio, Meche lascia anche i 12 milioni di dollari che restavano (su 55 totali) dal suo contratto con i Royals. Che dire? Scusate, ma di questi tempi una storia simile non solo merita la copertina, ma dovrebbe far riflettere tante altre persone.venerdì 21 gennaio 2011
mercoledì 19 gennaio 2011
Da re del Beat a super tifoso. Il baseball segreto di Kerouac
Benzedrine, viaggi, romanzi, prosodie bop? Non solo. C' è stato anche un Kerouac sportivo, accanito sportivo, di cui persino i suoi amici più stretti, i suoi compagni di lotta e di poesia, sapevano poco o niente: per anni, forse con la segreta speranza di non invecchiare, o forse per combattere la solitudine, Jack Kerouac coltivò un hobby che lo teneva occupato per ore, ogni giorno, e che ebbe inizio nella sua casa di Lowell, sul tavolino davanti la finestra che dava sul backyard, perso fra le matite e i colori pastello. Su quel tavolo di legno Kerouac cominciò a giocare a baseball, in un campionato inventato di sana pianta, tutto suo, senza muovere un muscolo. Oggi il Fantacalcio, nel '50 a Lowell il Fantabaseball. Sempre su quel tavolo, una volta compilati i fogli dei risultati di ogni giornata, con i commenti, le cronache delle partite, i giudizi della stampa, con le rose delle squadre, gli infortuni, le condizioni del campo, la pessima reputazione degli arbitri, presi di mira anche allora, si potevano apprezzare le gesta di stelle immaginarie di prima grandezza come Wino Love, Warby Pepper, Heinie Twiett, Phegus Cody, Zagg Parker, idoli di squadre con nomi assolutamente credibili ispirati al mondo dei motori (i Pittsburgh Plymouths, i New York Chevvies) o suggeriti dai colori (Boston Grays, Cincinnati Blacks). Pagine di quaderno fitte di numeri, reportage e strategie, vivacissime (il nome di ogni squadra veniva colorato con una tinta diversa) che Jack conservava gelosamente in qualche cassetto che ogni anno si rimpolpava. Una struttura perfetta, e perfettamente inesistente, animata dalla stessa fantasia visionaria del letterato futuro, comprensiva di allenatori discussi, trasferimenti clamorosi e proprietari pronti a lasciare per le troppe proteste dei tifosi che li accusano di cattiva gestione del club. Non mancano aggiornamenti e personalizzazioni: ci sono commenti firmati dall' autorevole Jack Lewis, che è l' anglicizzazione del nome di battesimo di Kerouac, Jean-Louis. Jack Lewis era il titolare, nel fantabaseball di casa, della Jack Lewis' s Baseball Chatter. La storia sportiva, cartacea, di Kerouac adesso fa parte del "Jack Kerouac Archive" alla Berg Collection della New York Library: «Li avevamo pronti già nel 2007 - spiega il curatore Isaac Gewirtz - ma non avevamo abbastanza spazio. Adesso lo abbiamo trovato». E questa settimana esce anche "Kerouac at bat: Fantasy sport and the King of the Beats". Gewirtz conserva anche delle carte («sembrano simboli runici») con le quali Kerouac assegnava punteggi ai lanci da lui effettuati in giardino, mentre praticava il più rudimentale baseball casalingo, con un sassolino per palla e lo spazzolino da denti trasformato in mazza: «Jack era ossessionato dallo sport». Non al punto però da immaginarlo sporco (non scrive mai di combine, né di doping). La passione/ossessione l' aveva ereditata dal padre, grande frequentatori delle corse dei cavalli. Sarebbe stato anche un ottimo atleta, ma quando lo chiamò Frank Leahy, coach della squadra di football del Boston College, lui rinunciò: aveva già in testa di diventare scrittore e di trasferirsi a New York: «Già tra le pagine del suo baseball si intuiva il valore dello scrittore». Ogni giocatore aveva la sua biografia, raccontata nei minimi particolari, da cui emergeva una personalità sempre diversa, originale, come fossero dei musicisti o degli scrittori anche loro: «è probabile che tutto iniziò quando Jack dovette affrontare il dolore per la morte del fratello Gerard», prosegue Gewirtz. Gerard morì a nove anni quando Jack ne aveva soltanto quattro. Macinato dal dolore, cominciò a creare il proprio universo di fuoricampo stratosferici e di sconfitte imprevedibili. Provò a giocare a baseball in giardino, lanciando quello che poteva. Poi, non avendo amici intorno, cominciò a immaginare il suo campionato, preferì il tinello al giardino: «Aveva la precisione del matematico e il talento dello scrittore in erba». Al massimo della sua evoluzione, la Kerouac League poteva estendersi anche a 50 partite all' anno, sino alle World Series: stagioni lunghissime. Sembrava aver frequentato gli almanacchi federali, Kerouac, per come conosceva modi e stili dell' elencazione dei risultati, per la dimestichezza nel sistemare i numeri delle classifiche (complicatissime nel baseball). L' ultimo commento è datato 1958, ma Gewirtz è convinto che Kerouac abbia continuato col fantabaseball fino a due o tre anni dalla morte (1969). L' unico, fra i suoi amici, ad essere al corrente dell' altro Kerouac («forse lo scoprì per caso», dice Gewirtz), fu Philip Whalen, poeta anche lui: «Jack aveva paura che i suoi amici lo prendessero in giro». Nemmeno Ginsberg, forse, sarebbe stato in grado di capire: «Perché Kerouac, le sue partite, le vedeva sul serio~». Non era uno scherzo. Prima del beat, per lui, ci fu il bat. La sua prima macchina da scrivere fu una mazza da baseball. - ENRICO SISTI - 18 maggio 2009 La Repubblica pag. 29
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Gioco a baseball ... leggo un libro
domenica 16 gennaio 2011
Gioco a baseball... Guardo un Film
HARDBALL
Film americano del 2001 diretto da Brian Robbins
Interpreti : Keanu Reeves, Diane Lane e John Hawkes
A Chicago Connor 0'Neill, giovane senza lavoro e dedito al gioco, è incalzato dai creditori che lo minacciano se non salderà i debiti entro breve tempo. Messo alle strette, Connor si rivolge ad un amico, il quale gli fa una proposta inattesa: allenare una squadra di baseball di bambini per 500 dollari a settimana. Connor non ha scelta e, poco dopo, si reca sul posto: un campetto mal ridotto in mezzo alle case popolari alla periferia della città. Qui il baseball è svolto soprattutto in funzione di aggregazione, d'intesa con la scuola pubblica locale dove si fa quello che si può per mandare avanti i programmi. Connor, che ha preso contatti con l'insegnante Elizabeth, si trova di fronte un gruppo di ragazzini litigiosi e capaci di esprimersi solo in modi pesanti. La squadra, che si chiama Kekambas e non ha quasi attrezzature, deve partecipare ai campionati scolastici ma non ha alcuna preparazione. Cominciando praticamente da zero, Connor riesce a mettere un po' di ordine, ad assegnare i ruoli, a far capire gli obiettivi che si pongono. Quando i creditori lo incalzano, Connor dice che ormai è fuori, che con la vita di prima ha chiuso. Un pomeriggio porta i ragazzi allo stadio dove nessuno di loro era mai entrato. Ora i Kekambas sono attesi dall'incontro con i Bua Wans, sfida decisiva per entrare nel campionato finale. Quella sera, tornando a casa, due fratelli restano coinvolti in una sparatoria, e il piccolo G muore. In chiesa, al funerale, Connor prende la parola e lo ricorda con affetto. Quindi si ritrovano sul campo, giocano per G-boy e vincono.
... e finalmente possiamo vederlo in TV
sul LA5 Giovedì 20 gennaio ore 21.10
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mercoledì 12 gennaio 2011
La leggenda del Comiskey Park : Può uno stadio diventare un "mito"? Nel caso del campo di Shoeless Joe Jackson, senz'altro...
Tra le pagine ingiallite di una storia del baseball ancora tutta da scrivere per i suoi risvolti etici e la grande umanità mista ad una incontenibile emotività, particolare interesse hanno suscitato nel 1990 prima la notizia, opportunamente e sapientemente diffusa solo al termine dell’ultima giornata di campionato, e poi l’evento della chiusura, per essere in seguito abbattuto, del più antico stadio del “Batti e corri”, il poetico Comiskey Park di fatto la più celebre ed acclamata istituzione di Chicago dopo il famigerato Al Capone.
Costruito con grandi risorse finanziarie nel 1910, ovvero ben due anni prima del Fenway Park di Boston e del Tiger Stadium di Detroit e in attività già da lunghi tredici anni prima che a New York decidessero di innalzare quel mitico e geniale Yankee Stadium, divenuto poi quest’ultimo il più originale monumento del baseball grazie alle prodezze degli acclamati Lou Gehrig, Babe Ruth, Mickey Mantle, Casey Stengel e dell’italo-americano Joe Di Maggio, il campo di baseball della capitale dell’Illinois il 30 settembre del 1990, dopo ottanta anni di vita, valutato non più rispondente alle nuove avveniristiche norme di sicurezza e giudicato non più assimilabile alle raffinate esigenze dello spettacolo del gioco, chiudeva i battenti cessando di esistere.
Pur davanti alle fredde cifre del business, questa data ha rappresentato per gli appassionati lo svolgersi di un vero dramma perché il Comiskey Park per la sua particolare forma architettonica a più anelli, la qualità del suo manto erboso, la lucentezza emanata dalla perfetta illuminazione per le gare in notturna, impiantata nel lontano 1939 ed inaugurata il 14 agosto di quello stesso anno con la gara White Sox - St. Louis Browns 5-2, non era solo il campo di baseball di Chicago ma soprattutto era amato come il salotto buono di casa dove invitare ed intrattenere gli amici e considerato, essendo il baseball negli Stati Uniti non solo tessuto connettivo che tiene unita l’intera nazione ma anche una religione, il tempio per antonomasia del “gioco antico”.
Amore per il baseball, spettacolari giocate tramandate alla memoria, incredulità verso certi episodi di cronaca nera, leggende e passioni metropolitane farcite da non poche lotte senza quartiere in una Chicago in mano alla violenza hanno dato infine a questo stadio il carisma aggregante di riferimento ed una indiscutibile personalità. Tuttavia, nonostante l’appassionato tributo, il verde diamante del Comiskey, dopo i primi travolgenti anni, non è che abbia mai portato una solida fortuna alla locale franchigia dei White Sox, anzi. Vincitori nel lontano 1917 del loro ultimo titolo di campioni acquisito nelle World Series contro i Giants di New York avendo potuto contare sulla tenace e possente tenuta del grande lanciatore Red Faber capace di lanciare per tre gare consecutive sulle quattro vinte, i White nel 1919 debordarono con molta superficialità dalla cronaca sportiva a quella nera per via del più famoso scandalo in cui il baseball sia mai stato coinvolto: l’intera squadra messa sotto accusa dalla giustizia sportiva per corruzione con ben otto giocatori successivamente radiati a vita.
La torbida vicenda che scaturì sul verde prato del Comiskey si propagò violentemente in tutti gli Stati Uniti creando intorno ai White, subito denominati Black nello scandalo, diverse leggende poiché in effetti, e nonostante la condanna, la verità di una globale corruzione non fu mai del tutto accertata. Anzi questo motivò da più parti tesi opposte tra colpevolisti ed innocentisti. Così a più riprese i vari Buck Weaver, Oscar Felsch, Chick Gandil, Eddie Cicotte, Ray Schak, Eddie Collins, Dickie Kerr, Swede Risberg, Fred McMullin, Lefty Williams e soprattutto Shoeless Joe Jackson furono favoleggiati nella fertile fantasia degli appassionati e divennero leggendari protagonisti e testimoni in molti lavori di penna e di spettacolo tra cui quelli di Richard Pioreck: “Say il Ain’t so, Joe!” (1983), di Lawrence Kelly: “Out!” (1986), di “Shoeless Joe” della serie televisiva “Witness” (1960), di Harry Stein: “Hoopla”(1983) per finire al 1988 quando dal saggio-inchiesta di Eliot Asinof la Orion Pictures Corp. perfezionò sotto la regia di John Sayles l’incisivo film “Otto uomini fuori”, uno dei migliori film sul baseball.
L’episodio tuttavia segnò definitivamente sia il roster della franchigia che i fans ed ammantò di mistero il Comiskey Park tanto che il fantasma di Shoeless Joe Jackson, oltre a costernare il protagonista del film “Field of dream” (L’uomo dei sogni) interpretato da Kevin Costner, ha sempre turbato anche le memorie dei tifosi della squadra ancora oggi convinti della sua innocenza. Comunque la sera del 30 settembre del 1990, dopo l’ultimo lancio che ha posto termine alla stagione interna dei White Sox e chiuso i battenti del più antico stadio americano, mentre già l’illuminazione del diamante stava incominciando ad affievolirsi, molte sono state le lacrime versate ed i fuochi d’artificio mandati in cielo in ricordo anche di quei tanti facoltosi tifosi che avevano chiesto ed ottenuto che le loro ceneri fossero sparse sul magico terreno calcato dai loro beniamini.
“Era brutto, ci pioveva dentro, i pilastri bloccavano la visuale – ha affermato con amarezza l’anziano tifoso Danny Winger -, ma solo al Comiskey Park ho trascorso i momenti più belli della mia vita. Sapere ora che non ci sarà più è come aver perso un fraterno amico” e tra i singhiozzi l’aristocratico Joe Bosch, che aveva personalizzato la propria auto con la targa “A Sox Man”, ha puntualizzato: “Questo è il giorno più triste della storia di Chicago”. La chiusura e futura demolizione dello stadio infine è stato per la vedova di Billie Burke un drammatico quanto particolare momento: “Per mio marito, che nel 1987 ha voluto come suo ultimo desiderio che le sue ceneri fossero sparse sul prato verso la terza base, il Comiskey Park è sempre stato l’equivalente del Paradiso. Ora, dove andrò a pregare?”. Ed il baseball è anche questo.
Michele Dodde
martedì 11 gennaio 2011
Il battitore designato nella Mlb - DH
Una delle differenze principali tra la National League e la American League è la regola del battitore designato (DH - Designated Hitter), applicata solamente nello Junior Circuit. Come tutti sanno, il DH è quel giocatore che, pur non essendo impiegato in difesa, è designato a battere in sostituzione dei lanciatore partente e degli altri lanciatori.
Prendiamo il regolamento del baseball e leggiamo alcune norme a riguardo (ho scelto le più comuni, evitando quelle che si applicano in casi particolari).
- Un Battitore Designato per il lanciatore deve essere indicato prima dell’inizio della partita e deve essere incluso nell’ordine di battuta presentato all’arbitro capo
- Non è obbligatorio per una squadra designare un battitore per il lanciatore, ma la mancata indicazione prima dell’inizio della partita preclude la possibilità di usare il Battitore Designato.
- E’ possibile usare un sostituto battitore per il Battitore Designato: il sostituto del Battitore Designato diventa il Battitore Designato. Un Battitore Designato che sia stato sostituito non può rientrare in gioco
- Il Battitore Designato può essere utilizzato in posizione difensiva continuando a battere nello stesso ordine di battuta, ma il lanciatore deve prendere in battuta il posto del difensore rimpiazzato
- Un corridore di rilievo può sostituire il Battitore Designato: nel qual caso tale corridore assume il ruolo di Battitore Designato
- Se il lanciatore batte per il Battitore Designato questo determinerà la cessazione del Battitore Designato per il resto della partita
- Se un Battitore Designato assume una posizione difensiva, questo spostamento farà cessare il suo ruolo di Battitore Designato per il resto della partita.
Come possiamo rilevare ci sono delle regole sulla sostituzione che, se non applicate, portano alla cessazione del Battitore Designato, obbligando il lanciatore ad andare alla battuta. Fino al 1972, nessuna delle due major league applicava la regola del DH, ma l’anno successivo qualcosa cambiò: i dirigenti dell’American League si accorsero che il junior circuit stava attraversando un periodo di crisi e di scarso interesse da parte degli spettatori; con l’introduzione del DH speravano di accendere l’interesse da parte dei tifosi. (La National League, fondata nel 1876 è chiamata Senior League o Circuit; la American League, fondata nel 1901, è chiamata Junior League o Circuit)
In effetti furono necessarie un paio di stagioni per la completa “assimilazione” del DH, infatti i tecnici ebbero bisogno di qualche anno per poter utilizzare al meglio questo giocatore particolare. Nel 1976 il DH fece il suo debutto alle World Series ma, probabilmente, pochi sanno il sistema utilizzato in quegli anni; innanzi tutto, va ricordato che nella grande finale il fattore campo viene assegnato con il sistema della rotazione, indipendentemente dal bilancio in regular season: fino al 1993 la squadra della National League aveva il fattore campo negli anni pari, mentre la formazione della AL poteva usufruire di questo vantaggio negli anni dispari. (Lo sciopero del 1994 ha sfalsato la rotazione: nelle World Series di quest’anno, 2002 - pari, il fattore del campo è stato assegnato alla squadra della American League).
Nelle World Series degli anni pari (quelle favorevoli alla NL) tutte le eventuali sette partite si sarebbero giocate con la regola del DH, mentre in quelle degli anni dispari (favorevoli alla AL) il lanciatore sarebbe stato obbligato a presentarsi in battuta. (Avete letto bene: non ho fatto confusione!) Questo sistema fu applicato fino al 1985: gara 7 tra Kansas City Royals e St. Louis Cardinals fu l’ultima gara disputata in uno stadio AL, senza la regola del battitore designato. L’anno successivo fu istituita la regola che vige ancora oggi: il DH può essere utilizzato soltanto nelle partite giocate negli stadi AL; nelle World Series di quest’anno, abbiamo visto il DH in gara 1, 2, 6, 7.
Sul Battitore Designato ci sono tantissimi dibattiti e polemiche: alcuni critici sono favorevoli poiché è il lanciatore in battuta è un out automatico; i pitcher sono spesso dei battitori mediocri e tolgono interesse alla contesa. I detrattori (che forse sono in numero superiore) sono invece convinti che l’assenza del DH obblighi il manager a ragionare di più, obbligandolo a pensare alla strategia più efficace: in quelle situazioni, si può intuire la bravura tecnica e tattica degli allenatori.
di Stefano Quaino www.geocities.com/koufax75
sabato 8 gennaio 2011
Il decalogo difensivo
da "Enciclopedia del Baseball" di Giorgio Gandolfi e Ezio di Gesù
GIOCA IL BATTITORE – Conosci le caratteristiche del battitore, tipo e zona del lancio, cerca di essere in movimento al momento dello swing.
ASPETTATI CHE OGNI GIOCO sia diretto a te; conosci la velocità del battitore e dei corridori, fai sempre un eliminato.
USA IL GIANTO IN MODO APPROPRIATO cattura la palla sempre nel giusto modo e seguila fino a quando non entra nel guanto stesso
NON RILASSARTI SULL’ERRORE raggiungi la palla e stai pronto per il gioco successivo. I compagni andranno sulla base o copriranno la stessa.
NELLA SITUAZIONE DI SMORZATA fai un eliminato in una base qualsiasi; cioè non intestardirti troppo sul corridore più avanzato per poi non eliminare nessuno.
MANTIENI SEMPRE LA CONDIZIONE DA DOPPIO GIOCO non facendo questo gli avversari eserciteranno una notevole pressione su di noi e per loro sarà molto più facile segnare.
ESEGUI TAGLI E RILANCI è quello che fa la differenza tra una buona ed una squadra mediocre. Troppe volte gli esterni tirano alla base sbagliata od in modo sbagliato.
USA LA VOCE ogni qualvolta lo ritieni opportuno, tra l’altro si spende uguale urlare forte e due volte.
RAPIDO, MA NON ANTICIPARE TROPPO cioè esegui giochi possibilmente quando sei bilanciato, con perfetta padronanza dei movimenti, ma il più rapidamente possibile
venerdì 7 gennaio 2011
Si parla di noi ...
da Baseball.it del 07/01/2011
Marco Sabbatani in arrivo alla Fortitudo
di Maurizio Roveri
Il ventunenne catcher del Godo (37 partite da titolare nella regular season 2010 in IBL1) va a rimpiazzare Reginato come cambio di Pablo Angrisano dietro il piatto di casabase
Sabbatani, nato il 13 aprile 1989, è un prodotto del farm system dei Goti. Ed è appunto con il Godo che ha cominciato a giocare, facendo parte (appena sedicenne) del roster del Godo in serie A2 nel 2005. Successivamente ha indossato per tre anni la divisa dell'Italmet Marina Waves, partecipando alla galoppata della squadra di Marina di Ravenna dalla serie B fino alla A2. L'esperienza all'Accademia FIBS di Tirrenia lo ha portato in Toscana, dove ha disputato il campionato di A2 2009 con il So.ge.se. Livorno. Il Godo se lo è riportato a casa e nella stagione scorsa gli ha affidato la titolarità di un ruolo delicato, importante e impegnativo come quello di catcher. Titolare nella massima serie. In IBL1, nel 2010, Sabbatani è stato fra i giocatori maggiormente utilizzati dal manager Steven Weidner. Trentasette partite giocate (sempre fin dall'inizio) sulle quarantadue dell'intera regular season. E un lavoro difensivo da considerare sicuramente eccellente per un ventunenne al suo primo campionato in IBL First Division: 978 di "fld%", con 186 potouts, 33 assistenze, soltanto 5 errori.
Quel che piace maggiormente di Marco Sabbatani dietro al piatto di casabase è la lucidità. Catcher intelligente, tecnicamente bene impostato e preciso, anche molto agile. Braccio abbastanza potente e buoni riflessi: 14 i corridori "colti rubando" nel 2009 in A2 e 9 nella regular season 2010, ma... ovviamente nella massima serie (considerando la notevole differenza di qualità fra i due campionati) ha dovuto concedere 27 basi rubate. Marco Sabbatani sarà il backup di Juan Pablo Angrisano, catcher numero uno della Italian Baseball League e inserito nella squadra All Star della recente Coppa Intercontinentale dove la Nazionale italiana ha conquistato una storica medaglia di bronzo. Con Angrisano e Sabbatani la Fortitudo Bologna proporrà, presumibilmente, la miglior coppia di ricevitori della IBL 2011. A Sabbatani verrà affidata certamente una partita da titolare - dietro il piatto - in ogni trittico di campionato. E un'altra come battitore designato. Nel box di battuta, in realtà, il ragazzo ravennate appare un po' più indietro rispetto all'aspetto difensivo. Tuttavia è in crescita, ha la caratteristica d'essere swich hitter, può diventare - acquisendo la giusta esperienza - un buon battitore di contatto.
L'arrivo di Sabbatani in Fortitudo va ad aggiungersi a quelli del lanciatore "asi" italoamericano Mark Langone (proveniente dal Codogno, finalista nella A Federale 2010) e di Massimiliano Sartori l'affidabile interno che arriva dal Baseball Team Ponte di Piave (serie A Federale) e che in precedenza ha giocato nella IBL con i Rangers Redipuglia nella stagione 2008 (403 di slugging). Sartori è un prodotto del vivaio del Blue Fioi Ponzano, una società che da anni è molto attiva nel baseball giovanile (da lì sono usciti anche Matteo Tonellato e Andrea Lucati).
Capitolo stranieri. Manager Marco Nanni ha necessità di aggiungere consistenza ad un line-up che già andava rinforzato e che, nel frattempo, ha perso Jairo Ramos. Chiaro che occorrono due mazze di notevole spessore: un cleanup (assolutamente) e un battitore di media. Da inserire negli spot numero 3 e 4 dell'ordine di battuta. Presumibilmente saranno due esterni.
Per quanto riguarda il monte di lancio, riconfermato "l'intoccabile" Jesus Matos, ci sarà da valutare la situazione-Moreno. Decisione delicata. Victor Moreno, l'eroe del Montjuic per quel decimo inning che portò Bologna sul tetto d'Europa il 26 settembre a Barcellona, sta lanciando forte nella Liga Venezolana Professional (2.09 di ERA in 43.2 riprese lanciate, come rilievo). Le sue prestazioni in questi mesi con Tigres de Aragua sono state di tale qualità da convincere una franchigia di Major League come i Detroit Tigers a sottoporgli un contratto di Minor League. Victor Moreno in febbraio farà parte dello spring training dei Tigers. Poi sarà destinato al Triplo A, e si riaccenderà per questo pitcher venezuelano non più giovanissimo il suggestivo sogno di arrivare in Grande Lega. Victor ha già alle spalle una sostanziosa gavetta in Doppio e in Triplo. Una carriera apprezzabile nelle Minors. Tuttavia, l'occasione della vita non s'è mai presentata. Sarebbe una favola, arrivarci adesso, in MLB. A 32 anni. Quando forse non ci pensava più. Chiaro che Victor Moreno ci prova. Non poteva non accettare questa proposta di Detroit. Sa che è difficile, ma è l'ultima chance. Ne vale la pena. Bologna perde così il suo magico rilievo, l'uomo-sicurezza che chiudeva (alla grande) le partite di Jesus Matos. Lo perde momentaneamente. Lo potrà ritrovare, se - ad un certo punto della stagione - il tentativo "americano" di Moreno s'interrompesse. Qualora cioè l'Organizzazione dei Detroit Tigers decidesse di "rilasciarlo", lui sarebbe libero di tornare a Bologna. Ma... ma il tempo stringe. Il regolamento della Federazione Italiana prevede che entro il 31 gennaio le Società di IBL debbano indicare i nomi degli stranieri (della stagione scorsa) da confermare. Poiché i giocatori che non verranno riconfermati, saranno considerati liberi. Liberi di accasarsi altrove. Fortitudo e Moreno sono legati da un buon feeling. Moreno è affezionato al Club felsineo, che è pronto ad accontentarlo dal punto di vista economico.
Dunque: se Bologna sceglie di inserire l'esperto lanciatore venezuelano nel roster 2011, che cosa può accadere? Ecco le ipotesi. 1) se Moreno viene "tagliato" dai Detroit Tigers e decide di tornare in Italia, potrà giocare soltanto per la Fortitudo. 2) però... entro il termine del girone d'andata (fine maggio) lui - per regolamento - deve fare almeno una presenza nel campionato italiano. Se Victor Moreno dovesse essere "rilasciato" dai Detroit Tigers dopo quella data, cioè da giugno in poi, la Fortitudo non avrebbe più la possibilità di utilizzarlo. E perderebbe così uno dei quattro "visti" per i giocatori stranieri. 3) ovviamente nel caso (quello più gradito a Moreno) che questa nuova attraente esperienza americana si protraesse per l'intera stagione, Bologna non potrebbe contare su colui che è stato in questi anni il miglior rilievo straniero della IBL.
Aspettarlo o no? Interrogativo inquietante. Scelta delicatissima. Fortitudo davanti a un bivio. Ad un campione come Victor Moreno non si può rinunciare a cuor leggero. Al tempo stesso, confermarlo e inserirlo nel roster 2011 (che significherebbe anche "proteggerlo" da eventuali lusinghe di altri Club italiani) rappresenta tuttavia un rischio. C'è il rischio - anche abbastanza sostanzioso - di "giocarsi" un visto. Cioè di perdere uno straniero. Che fare, allora? Non pensare più a Moreno e andare a cercare un pitcher di rilievo altrettanto forte? Fosse così semplice... Già è difficile trovarne un altro di tale valore. O forse si potrebbe trovare anche di meglio: però quanto verrebbe a costare?
L'idea della Fortitudo, in questo momento, sembra essere quella di ingaggiare un decoroso pitcher oriundo (o comunitario) come rilievo per "gara2": le partite di Cody Cillo. Spostando l'affidabile Yulman Ribeiro (anche lui attualmente buon interprete nella winter league venezuelana) a chiudere "gara1": le partite di Jesus Matos. Va considerato inoltre che, in caso di necessità, Marco Nanni potrebbe sempre contare sulla disponibilità di René Mazzocchi, il giovane interessante lanciatore oriundo che la Fortitudo ha parcheggiato al Castenaso.
Questa eventuale strategia consentirebbe alla Società bolognese di avere un monte di lancio comunque ben "coperto", aspettando un eventuale ritorno di Victor Moreno. Prima di fine maggio...
Marco Sabbatani in arrivo alla Fortitudo
di Maurizio Roveri
Il ventunenne catcher del Godo (37 partite da titolare nella regular season 2010 in IBL1) va a rimpiazzare Reginato come cambio di Pablo Angrisano dietro il piatto di casabase
Marco Sabbatani con la maglia azzurra © FIBS
La trattativa, avviata da tempo, è in via di definizione fra il Godo (che probabilmente ce la farà a "sopportare" economicamente un'altra stagione di IBL1) e la Fortitudo Bologna. L'accordo con il giocatore c'è già. E dunque si presume che nei prossimi giorni verrà annunciato ufficialmente il passaggio di Marco Sabbatani dal Club ravennate alla Società bolognese campione d'Europa. Sicuramente una buona operazione di mercato da parte del general manager fortitudino Christian Mura. Trovatosi scoperto, nel ruolo di secondo catcher, dalla partenza di Mattia Reginato (che ha preferito San Marino), Mura porta a Bologna un altro prospetto molto interessante. Marco Sabbatani è un "ex" della Accademia di Tirrenia, proprio come Reginato, nei confronti del quale ha un anno in più.Sabbatani, nato il 13 aprile 1989, è un prodotto del farm system dei Goti. Ed è appunto con il Godo che ha cominciato a giocare, facendo parte (appena sedicenne) del roster del Godo in serie A2 nel 2005. Successivamente ha indossato per tre anni la divisa dell'Italmet Marina Waves, partecipando alla galoppata della squadra di Marina di Ravenna dalla serie B fino alla A2. L'esperienza all'Accademia FIBS di Tirrenia lo ha portato in Toscana, dove ha disputato il campionato di A2 2009 con il So.ge.se. Livorno. Il Godo se lo è riportato a casa e nella stagione scorsa gli ha affidato la titolarità di un ruolo delicato, importante e impegnativo come quello di catcher. Titolare nella massima serie. In IBL1, nel 2010, Sabbatani è stato fra i giocatori maggiormente utilizzati dal manager Steven Weidner. Trentasette partite giocate (sempre fin dall'inizio) sulle quarantadue dell'intera regular season. E un lavoro difensivo da considerare sicuramente eccellente per un ventunenne al suo primo campionato in IBL First Division: 978 di "fld%", con 186 potouts, 33 assistenze, soltanto 5 errori.
Quel che piace maggiormente di Marco Sabbatani dietro al piatto di casabase è la lucidità. Catcher intelligente, tecnicamente bene impostato e preciso, anche molto agile. Braccio abbastanza potente e buoni riflessi: 14 i corridori "colti rubando" nel 2009 in A2 e 9 nella regular season 2010, ma... ovviamente nella massima serie (considerando la notevole differenza di qualità fra i due campionati) ha dovuto concedere 27 basi rubate. Marco Sabbatani sarà il backup di Juan Pablo Angrisano, catcher numero uno della Italian Baseball League e inserito nella squadra All Star della recente Coppa Intercontinentale dove la Nazionale italiana ha conquistato una storica medaglia di bronzo. Con Angrisano e Sabbatani la Fortitudo Bologna proporrà, presumibilmente, la miglior coppia di ricevitori della IBL 2011. A Sabbatani verrà affidata certamente una partita da titolare - dietro il piatto - in ogni trittico di campionato. E un'altra come battitore designato. Nel box di battuta, in realtà, il ragazzo ravennate appare un po' più indietro rispetto all'aspetto difensivo. Tuttavia è in crescita, ha la caratteristica d'essere swich hitter, può diventare - acquisendo la giusta esperienza - un buon battitore di contatto.
L'arrivo di Sabbatani in Fortitudo va ad aggiungersi a quelli del lanciatore "asi" italoamericano Mark Langone (proveniente dal Codogno, finalista nella A Federale 2010) e di Massimiliano Sartori l'affidabile interno che arriva dal Baseball Team Ponte di Piave (serie A Federale) e che in precedenza ha giocato nella IBL con i Rangers Redipuglia nella stagione 2008 (403 di slugging). Sartori è un prodotto del vivaio del Blue Fioi Ponzano, una società che da anni è molto attiva nel baseball giovanile (da lì sono usciti anche Matteo Tonellato e Andrea Lucati).
Capitolo stranieri. Manager Marco Nanni ha necessità di aggiungere consistenza ad un line-up che già andava rinforzato e che, nel frattempo, ha perso Jairo Ramos. Chiaro che occorrono due mazze di notevole spessore: un cleanup (assolutamente) e un battitore di media. Da inserire negli spot numero 3 e 4 dell'ordine di battuta. Presumibilmente saranno due esterni.
Per quanto riguarda il monte di lancio, riconfermato "l'intoccabile" Jesus Matos, ci sarà da valutare la situazione-Moreno. Decisione delicata. Victor Moreno, l'eroe del Montjuic per quel decimo inning che portò Bologna sul tetto d'Europa il 26 settembre a Barcellona, sta lanciando forte nella Liga Venezolana Professional (2.09 di ERA in 43.2 riprese lanciate, come rilievo). Le sue prestazioni in questi mesi con Tigres de Aragua sono state di tale qualità da convincere una franchigia di Major League come i Detroit Tigers a sottoporgli un contratto di Minor League. Victor Moreno in febbraio farà parte dello spring training dei Tigers. Poi sarà destinato al Triplo A, e si riaccenderà per questo pitcher venezuelano non più giovanissimo il suggestivo sogno di arrivare in Grande Lega. Victor ha già alle spalle una sostanziosa gavetta in Doppio e in Triplo. Una carriera apprezzabile nelle Minors. Tuttavia, l'occasione della vita non s'è mai presentata. Sarebbe una favola, arrivarci adesso, in MLB. A 32 anni. Quando forse non ci pensava più. Chiaro che Victor Moreno ci prova. Non poteva non accettare questa proposta di Detroit. Sa che è difficile, ma è l'ultima chance. Ne vale la pena. Bologna perde così il suo magico rilievo, l'uomo-sicurezza che chiudeva (alla grande) le partite di Jesus Matos. Lo perde momentaneamente. Lo potrà ritrovare, se - ad un certo punto della stagione - il tentativo "americano" di Moreno s'interrompesse. Qualora cioè l'Organizzazione dei Detroit Tigers decidesse di "rilasciarlo", lui sarebbe libero di tornare a Bologna. Ma... ma il tempo stringe. Il regolamento della Federazione Italiana prevede che entro il 31 gennaio le Società di IBL debbano indicare i nomi degli stranieri (della stagione scorsa) da confermare. Poiché i giocatori che non verranno riconfermati, saranno considerati liberi. Liberi di accasarsi altrove. Fortitudo e Moreno sono legati da un buon feeling. Moreno è affezionato al Club felsineo, che è pronto ad accontentarlo dal punto di vista economico.
Dunque: se Bologna sceglie di inserire l'esperto lanciatore venezuelano nel roster 2011, che cosa può accadere? Ecco le ipotesi. 1) se Moreno viene "tagliato" dai Detroit Tigers e decide di tornare in Italia, potrà giocare soltanto per la Fortitudo. 2) però... entro il termine del girone d'andata (fine maggio) lui - per regolamento - deve fare almeno una presenza nel campionato italiano. Se Victor Moreno dovesse essere "rilasciato" dai Detroit Tigers dopo quella data, cioè da giugno in poi, la Fortitudo non avrebbe più la possibilità di utilizzarlo. E perderebbe così uno dei quattro "visti" per i giocatori stranieri. 3) ovviamente nel caso (quello più gradito a Moreno) che questa nuova attraente esperienza americana si protraesse per l'intera stagione, Bologna non potrebbe contare su colui che è stato in questi anni il miglior rilievo straniero della IBL.
Aspettarlo o no? Interrogativo inquietante. Scelta delicatissima. Fortitudo davanti a un bivio. Ad un campione come Victor Moreno non si può rinunciare a cuor leggero. Al tempo stesso, confermarlo e inserirlo nel roster 2011 (che significherebbe anche "proteggerlo" da eventuali lusinghe di altri Club italiani) rappresenta tuttavia un rischio. C'è il rischio - anche abbastanza sostanzioso - di "giocarsi" un visto. Cioè di perdere uno straniero. Che fare, allora? Non pensare più a Moreno e andare a cercare un pitcher di rilievo altrettanto forte? Fosse così semplice... Già è difficile trovarne un altro di tale valore. O forse si potrebbe trovare anche di meglio: però quanto verrebbe a costare?
L'idea della Fortitudo, in questo momento, sembra essere quella di ingaggiare un decoroso pitcher oriundo (o comunitario) come rilievo per "gara2": le partite di Cody Cillo. Spostando l'affidabile Yulman Ribeiro (anche lui attualmente buon interprete nella winter league venezuelana) a chiudere "gara1": le partite di Jesus Matos. Va considerato inoltre che, in caso di necessità, Marco Nanni potrebbe sempre contare sulla disponibilità di René Mazzocchi, il giovane interessante lanciatore oriundo che la Fortitudo ha parcheggiato al Castenaso.
Questa eventuale strategia consentirebbe alla Società bolognese di avere un monte di lancio comunque ben "coperto", aspettando un eventuale ritorno di Victor Moreno. Prima di fine maggio...
La filosofia del gioco
da "Enciclopedia del Baseball" di Giorgio Gandolfi e Ezio di Gesù
RAPPORTI CON GLI ARBITRI
Di Giulio Montanini
RICORDATI – Un Buon giocatore è quello che non protesta mai. Un buon arbitro conosce questo e quindi accetta un’eventuale protesta. Non protestare sui giudizi arbitrali, appellati a errate interpretazioni del regolamento.
Normalmente un battitore SI LAMENTA sul lancio che ha difficoltà a battere
Quando sei in battuta e prendi un lancio vicino al piatto MAI voltarti verso l’arbitro: ti costerebbe uno strike, comportati come se fosse un chiaro ball
Agli arbitri non piacciono i battitori che tirano linee con la mazza, svengono ad ogni chiamata, sbuffano, lanciano la mazza … ecc, MAI voltarti verso l’arbitro nemmeno per salutarlo. Gesticolare ti crea solo problemi; sii cortese ma deciso. Se devi protestare fallo nel dovuto modo, fagli notare tranquillamente quella che potrebbe essere un interferenza del ricevitore, un lancio illegale, un rilancio immediato … ecc. EVITA sempre la guerra privata con un arbitro: tu non puoi vincere e la tua squadra può perdere. Informa il tuo allenatore di ogni errore arbitrale (chiamate)
RICORDATI nulla può succedere quando la palla è morta, quindi prima di tutto rimettila in gioco:deve ritornare al lanciatore in pedana. UN LANCIO elimina ogni possibilità di gioco d’appello.
PUOI fare gioco d’appello: non aspettarti nessun aiuto dagli arbitri
- Lasciare le basi in anticipo
- Dimenticarsi di toccare una base
- Battere fuori turno
METTI LA PALLA IN GIOCO E FAI APPELLO PRIMA DEL LANCIO SUCCESSIVO
DEVI chiedere tempo prima di uscire dal box di battuta, come lanciatore mai interrompere il tuo caricamento, continua ed effettua il lancio
RICORDATI: molti arbitri usano segnali tra di loro. Se fermi la tua sventagliata e l’arbitro chiama strike chiede di consultare il suo collega; l’inverso quando sei in difesa. Se non lo fanno non preoccuparti, ti può venir buona la volta successiva.
CONOSCI il tuo arbitro. Fare girare la palla dopo un terzo strike chiuso può andare bene per alcuni e non per altri e ricordati che può ripercuotersi su di te.
Mai toccare un corridore due volte. Mai tornare indietro. Tocca e poi fai girare la palla.
MAI aspettare la chiamata arbitrale in un gioco chiuso: vai in prima se battitore, grida “bel gioco” se in difesa.
NON SEI UN ARBITRO, E’ GIA’ ABBASTANZ DIFFICILE GIOCARE. Non prendere nulla per certo; non pensare che fosse foul e quindi non correre.
MAI lasciare una base prima che ti vena imposto dall’arbitro, l’arbitro non gli avversari che così ti coglierebbero fuori base. Puoi mancare il terzo strike, ma anche il ricevitore può mancarlo. Stai, sulla base anche se sei eliminatori 10 metri il difensore può aver perso la palla o non aver toccato la base; MAI ELIMINARTI DA SOLO, SOLO L’ARBITRO PUO’ FARLO.
Generalmente l’arbitro sta chiamando così bene come tu stai giocando, per cui nessuna scusa.
In un gioco chiuso un buon arbitro ti elimina se non scivoli, chiama salvo il tuo avversario se lo tocchi in modo sbagliato: fondamentalmente la sua decisione è a tuo sfavore quando non ti comporti nel modo giusto. Non ti darà mai il beneficio del dubbio. Impara che non puoi battere con la mazza sulle spalle. Se l’arbitro chiama strike bassi, è meglio girarli, lui non cambierà, quindi è meglio lo faccia tu.
Gli arbitri possono cambiare giudizio o decisione quando sono fuori posizione o quando viene dimostrato l’errore o IL LANCIO SUCCESSIVO.
Gli arbitri sono esseri umani come te. Perché protestare quando ti trovi 10 punti sopra o 10 punti sotto?
mercoledì 5 gennaio 2011
martedì 4 gennaio 2011
50 sistemi per perdere una partita
da "Enciclopedia del Baseball" di Giorgio Gandolfi e Ezio di Gesù
- Incapacità difensiva da parte dei lanciatori
- Non sapersi sacrificare
- Esterni che non coprono sulle volate alte agli interni
- Esterni che tirano alla base sbagliata, permettendo così ai corridori di avanzare in posizione punto (2° base)
- Ricevitore che non blocca i lanci fuori dall'area dello strike
- Lanciatori o battitori deboli in genere passati in base per ball
- Esterni che non chiamano forte e chiaro sulle volate alte
- Correre sulle basi senza tener conto del punteggio
- Correre sulle basi senza tener conto del corridore che ci precede
- Lanciatori che non effettuano adeguate coperture
- Esterni che non caricano le palle rimbalzanti
- Dimenticarsi di guardare il suggeritore quando si corre dalla prima alla terza base con il gioco alle spalle
- Cercare di correre dalla seconda alla terza base su di una palla battuta nel lato sinistro del diamante
- Battere il primo lancio dopo una base per balls
- Dimenticarsi di coprire gli altri esterni
- Lanciatori che diventano timorosi od insicuri sul punteggio di 0 - 2 sul battitore
- Mancanza di condizione fisica e di mantenimento della stessa
- Lanciatore che effettua il caricamento completo sul conteggio di 3 - 2 basi piene e due eliminati
- Battitore che con due strikes a carico tenta di indovinare il lancio
- Guadare la palla mentre si corre in prima base
- Ricevitori che non chiamano il gioco in modo appropriato
- Giocatori che non lavorano nei propri punti deboli
- Cercare il fuoricampo quando una valida basterebbe per vincere la partita
- Effettuare un inutile tiro dopo aver sbagliato una presa
- Lanciatori che non coprono su palle battute alla loro sinistra
- Non scivolare nel tentativo di rompere il doppio gioco
- Corridore di terza base che non torna immediatamente sul cuscino su di una volata
- Non guardare i segnali
- Il battiture successivo che non aiuta il corridore che sta arrivando a casa base
- Non conoscere le regole
- Mancanza di controllo dell'intensità e della direzione del vento da parte dei giocatori
- Non anticipare la giocata
- Esterni che non prendono le volate alte dalla parte del tiro quando vi sono corridori sulle basi
- Non scivolare nei giochi chiusi
- Non essere nella giusta posizione nei tagli
- Non dare il 100% in ogni situazione; ricordarsi che indipendentemente dal vostro comportamento gli avversari lo fanno sempre
- Interni che non chiamano forte e chiaro su volate alte in diamante
- Diventare l'avvocato dello spogliatoio
- Esterni che cercano di prendere il corridore più avanzato dopo una palla palleggiata
- Non avere cura del proprio equipaggiamento
- Mancanza, da parte della panchina, di aiutare i compagni in un gioco in prossimità della stessa
- Non informare l'allenatore tempestivamente di eventuali infortuni
- Girare con troppa violenza nella giocata di batti e corri
- Passare in base l'ottavo o nono in battuta
- Essere colti fuori base quando, la tua squadra è indietro nel punteggio
- Lanciare alto con corridori in posizione punto
- Non conoscere il punteggio
- Permettere agli arbitri ed agli avversi di infastidire il tuo gioco
- Esterni che giocano troppo profondi con il punto della vittoria in base
- Non considerare e rispettare i propri avversari
domenica 2 gennaio 2011
I dieci Comandamenti del Manager
da "Enciclopedia del Baseball" di Giorgio Gandolfi e Ezio di Gesù
- Controlla il tuo linguaggio: le parole sono come un eco o un boomerang, non solo continuano a ripetersi, ma molto frequentemente ritornano alla persona da cui sono partite.
- Controlla il tuo temperamento, mantieni sempre la calma, nessuno vuole diversamente. Fondamentalmente questo è uno dei migliori barometri del tuoi stato.
- Controlla la tua sportività. Lavorando a costruire atleti e uomini sono molte più le cose che si imparano che quelle che si insegnano.
- controlla le tue attività. Per alcuni ragazzi e ragazze tu sei il loro solo esempio di eroe. Non deluderti comportandoti male.
- Ricordati sempre anche delle persone che per te hanno meno importanza: coloro che vengono per ultimi, lentamente. Coloro che ti guardano con un occhio pieno di speranza e aspettano tranquillamente che un giorno tu li scelga per giocare nella tua squadra.
- Sii giusto e sincero con tutti, volenteroso e pronto a scusarti qualora avrai detto qualcosa di sbagliato a qualcuno.
- La tua salute, il modo di apparire, di vestire, di comportarti ogni giorno, sono i soli manuali che le persone leggono di te: scrivi ogni capitolo con grande cura ed amore.
- Nel trattare con gli altri, chiunque essi siano, sii giusto e pronto a comprendere, onesto ma fermo sulla disciplina, sii sollecito considerando a volte anche il disappunto altrui.
- Siediti e verificati regolarmente, non riguardo ai tuoi problemi o ai tuoi pregiudizi, ma riguardo alle tue attitudini e motivazioni ricordando che il più grande regalo che hai ricevuto è quello di poter costruire uomini.
- Ricorda sempre di pregare, prima di una decisione, prima di svolgere un compito. E' una fortificazione che significa molto più che non maledire Dio per cose che sono successe.
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