domenica 20 febbraio 2011

Gioco a Baseball ... leggo un libro


"Il mio nome è Jackie Roninson" di Scot Simon

Esce in questi giorni un nuovo libro della casa editrice 66thand2nd sul baseball

Jackie Robinson è un'icona dello sport e un simbolo della lotta per i diritti civili. Primo afroamericano a giocare nelle Major Leagues con la maglia dei Brooklyn Dodgers nel 1947, Robinson deve affrontare l'ostilità dei compagni, restii ad accettare la presenza di un giocatore di colore, ed è spesso oggetto di insulti da parte dei tifosi dei Dodgers e della tifoseria avversaria. Forte dell'appoggio di Branch Rickey, il presidente della squadra che ha fortemente voluto il suo passaggio dalle Negro Leagues, e di alcuni compagni, il giocatore resiste e spiana la strada all'ingresso di altri afroamericani nella massima serie di baseball. Il coraggio di Robinson costringe l'America di quegli anni a fare i conti con la questione razziale e ancora oggi, in onore di questo grande campione, nessun giocatore indossa la maglia numero 42, il numero di Jackie Robinson. Come ogni anno, il 15 aprile l'America celebra il Jackie Robinson Day, il 15 aprile 1947 è infatti il giorno dell'esordio di Robinson nelle Major Leagues. La forza e il coraggio di Jackie Robinson sono stati di recente raccontati dal presidente Barack Obama nel suo libro "Of Thee I Sing: A Letter to My Daughters" in cui Robinson figura tra i tredici grandi personaggi americani che con il loro esempio hanno cambiato

sabato 5 febbraio 2011

A.S. Roma e il Baseball

La A.S. Roma sta cambiando l'assetto della proprietà, e negli articoli sulla vicenda, viene sempre più prepotentemente richiamata la parola baseball.... vecchia storia quella della Roma e del Baseball... già unite ai tempi di Bruno Conti, che la leggenda metropolitana vuole allenarsi sia a calcio che a Baseball sui campi del Nettuno e si racconta anche che sia stato contattato da un emissario dei Santa Monica....

Da Il Giornale.it  sabato 05 febbraio 2011,

Ecco Mr. Red Sox l’uomo che sogna in giallorosso

di Filippo Fantasia

C'è un'azione tipica nel baseball, denominata "hit and run" (batti e corri), in cui il battitore incontra con violenza la pallina e cerca contemporaneamente di far correre il compagno sulle basi. Una giocata speciale, un "semaforo verde" dettato dal manager che potrebbe decidere le sorti del match. Un po' come successo a Thomas DiBenedetto e alla cordata di investitori statunitensi da lui stesso capitanata che ha ottenuto il via libera a trattare in esclusiva l'acquisto della Roma. Tempi brevi per chiudere il "deal", come fosse un fuoricampo che ti permette di girare velocemente i quattro angoli del diamante.
La scelta non poteva che cadere sul quotato businessman nato 61 anni fa a Boston, ma sangue abruzzese nelle vene, con la passione dello sport. Calcio, ma soprattutto baseball. Lo chiamano Mister Red Sox. Perché lui delle mitiche calze rosse, che quest'anno festeggeranno il centenario, è uno dei tredici partner: nel 2001 la New England Sport Ventures, la società di cui è socio insieme a John Henry (attuale proprietario dei Boston) e Tom Werner, e che lo scorso ottobre ha acquisito per 476 milioni di dollari anche il Liverpool, assunse infatti il controllo dello storico club di baseball. Ma di quella squadra DiBenedetto è anche uno dei più accaniti sostenitori, di quelli che si riuniscono sotto il nome di «Red Sox Nation». Dopo aver giocato a football alla fine degli anni '60 al Trinity College di Hartford nel Connecticut, il baseball è entrato prepotentemente nella sua vita. È stato lui stesso a raccontare che all'età di 10 anni pianse al Fenway Park, la «casa dei Red Sox», quando vide battere un fuoricampo a Ted Williams, indimenticato campione, nell'ultimo turno di battuta della sua carriera. E quando Tom e Linda si sposarono nel settembre dell'83 decisero di fare una luna di miele lì intorno nel New England, per poter essere di ritorno il sabato e la domenica conclusivi della stagione agonistica.
Un tifoso doc. Cresciuto ad Everett, vicino Boston, prendeva la metro per raggiungere il Fenway Park, quello che lui considera una cattedrale: completamente dipinto di verde, è datato 1912, ed è il più vecchio stadio di baseball d'America. «I Red Sox sono una passione che dura tutta la vita», spiega il businessman che oggi fa la spola tra il Massachusetts e la Florida, dove è nato Thomas DiBenedetto jr, uno dei suoi cinque figli che è stato scelto dall'organizzazione dei Red Sox nel 2008 ed assegnato alle leghe minori per poter farsi le ossa nel grande baseball. Con Boston però c’è un feeling del tutto particolare, vista la presenza di una folta comunità italiana, stipata principalmente nel quartiere del North End. Uno dei paisà più noti è Larry Lucchino, presidente e amministratore delegato dei Red Sox. Un altro è Terry Francona, l'allenatore della squadra, l'uomo che ha riportato il titolo nazionale in Massachusetts dopo ben 86 anni di assenza. E c’è un altro Thomas (Menino), sempre di origine italiane, che a Boston siede in un posto importante, essendo il sindaco della città.
Adesso, per chiudere con la Roma (club, marchio e facilities) si attende solo la firma. Il progetto prevede importanti obiettivi di fatturato che passano necessariamente attraverso un piano di rilancio in grande stile basato sul merchandising, sul brand e su un nuovo stadio. Cose che riescono bene a DiBenedetto e soci. Basti pensare proprio ai Red Sox. Durante la stagione regolare 2010, sono stati tra i 10 club con la più alta affluenza di pubblico (oltre 3 milioni di spettatori). E anche se non sono entrati nei play-off, i Boston hanno allungato la striscia del Fenway tutto esaurito a 631 partite, partendo dal 15 maggio 2003.

mercoledì 2 febbraio 2011

2 chiacchere con ...

Matteo Galeotti (nato a Ravenna il 18/12/1981) lanciatore destro della prima squadra,

Ciao Matteo, parlaci di come ti sei avvicinato al Baseball
Ho iniziato come tutti i ragazzini giocando a calcio, poi trascinato da due vicini di casa ho iniziato a giocare a baseball all’età di 8 anni, sono perciò un prodotto del vivaio del Godo.
Anno 1999, è per te un anno importante…. Raccontaci
Si, è l’anno che con la categoria Juniores sono diventato campione d’Italia, contro tutti i pronostici, infatti il Godo non era certo una delle squadre favorite, ma lo era una squadra Parmense.
Di quella ultima splendida giornata di campionato, sono ancora vivi i ricordi … soprattutto quelli di contorno, i pulmino dei tifosi che ha seguito la squadra in trasferta, la festa già preparata dal Collecchio. E poi l’adrenalina che c’era in campo la voglia di vincere, tanto da permettere ai nostri atleti di stracciare la squadra favorita e di vincere trionfalmente lo scudetto.
E nella tua carriera c’è un'altra tappa fondamentale, ma non solo per te, ma anche per tutti i tifosi del Godo, il passaggio in IBL1
La stagione che ha portato alla promozione dalla seria A2 all’IBL è tutta da ricordare, una magica stagione dove tutto era girato per il verso giusto, la campagna acquisti degli oriundi era stata indovinata, il miglior giocatore per il giusto ruolo, e tra i giocatori si era creato affiatamento e aggregazione, le carte vincenti per portare il piccolo grande Godo dalla serie A2 all’IBL
Forse il baseball, come pochi altri sport, se non ad alti livelli, mette in relazione persone con diverse culture e lingue, a te cosa ti ha insegnato questa multiculturalità
Effettivamente la frequentazione con giocatori stranieri, soprattutto americani, mi ha dato la possibilità di imparare molto bene la lingua inglese, e questo nella vita è un vero valore aggiunto, ma ho avuto anche modo di conoscere altri stili di vita, e la cosa che più mi fa pensare è come per  gli americani lo sport sia una cosa importante e fondamentale nella crescita personale di un individuo e come gli stessi lo mettano, davanti alle mille distrazioni tipiche degli adolescenti, al contrario di come invece lo pensiamo e lo viviamo noi.
C’è un rimpianto?
Si, col senno di poi ….. si Grazie a Christian Mura ho avuto la possibilità di stare in America per 3 settimane insieme a  Tanesini, e di partecipare ai tryout, e ma non solo … eravamo stati anche convocati nella rosa dei 21 … ma purtroppo non ha colto l’occasione di poter giocare in una squadra Americana …l’incoscienza della adolescenza .